Skip to main content

Tracce di fede e paradisi di natura

ITINERARIO 3

Tracce di fede e paradisi di natura

Un itinerario ricco di fascino che vi mostrerà l’entroterra dell’Alto Ionio Cosentino, immersi nella natura del Monte Sellaro e del Monte Sparviere e degli altri paesaggi suggestivi del massiccio del Pollino, meta ideale per gli appassionati delle attività all’aria aperta. Alla scoperta di angoli misteriosi e mitologici come l’Abisso del Bifurto o la Grotta delle Ninfe, di luoghi dello spirito come il Santuario di Santa Maria delle Armi e di borghi dove prosperano ancora le tradizioni più antiche come quelli di Paludi e Castroregio, centri vitali della cultura arbëreshe in Calabria

Specifiche tecniche del percorso

7

Località toccate

35

Distanza percorso

12

Punti di interesse
ITINERARIO 3

Descrizione dell'itinerario e tappe

Le tappe

Francavilla Marittima: la bellezza della semplicità

Lo sguardo di chi percorre la SS92 lasciando la costa ionica per dirigersi verso l’interno presto percepisce il cambiamento: quei monti che prima apparivano solo un orizzonte lontanissimo, quasi irraggiungibile dall’immensità orizzontale della piana di Sibari, un poco alla volta divengono presenza concreta, fatta di salite e discese, ondulazioni che, chilometro dopo chilometro, divengono sempre più marcate.

Anche la fiumara del Raganello, che all’inizio scorre libera fra le sponde piatte, ad un certo punto si vede costretta e irregimentata da quinte naturali, grandi calanchi terrosi, invero impressionanti, ma che sono solo l’annuncio di quello che, risalendo verso le alture del Pollino, si svelerà come uno dei più spettacolari canyon del Sud Italia.

Attorno un paesaggio bucolico, dove dominano le coltivazioni di olivi centenari da cui si produce il prezioso Olio extravergine di oliva Bruzio DOP, e là, adagiato ai piedi di un pendio che si fa sempre più erto sino a divenire parete rocciosa al cospetto del Monte Sellaro, il piccolo centro di Francavilla.

La geografia ufficiale affianca al suo nome l’aggettivo “Marittima”, sicuramente per sottolinearne la vicinanza al litorale, ma le atmosfere sono decisamente quelle del mondo collinare. È il preambolo e l’annuncio dell’ambiente che ci accompagnerà nel nostro itinerario alla scoperta della natura e delle tracce di fede e storia fra i paesi del GAL Sibaritide.

Osservando Francavilla da lontano, ancor prima di giungere nel borgo, si ha l’impressione di ammirare un dipinto, un grande presepe racchiuso in un’incantevole cornice naturale. Questa suggestione diviene realtà nel periodo natalizio quando sulla vetta, nonché sulla Timpa del Castello, viene accesa una struttura luminosa a forma di Albero di Natale, larga quaranta metri e alta cento.

Semplicità è la parola più adatta per descrivere questo piccolo centro agricolo di poco più di tremila abitanti. Non si incontrano qui architetture sontuose, e la tranquilla eleganza del paesaggio non offre visioni maestose.

È una bellezza che nulla offre alla spettacolarizzazione turistica, ma che va guardata con sguardo curioso e attento e va cercata nella quotidianità di chi abita qui, nell’autenticità, appunto, di vite le cui radici si aggrappano saldamente alla cultura e all’identità locale, come le case del paese alla roccia su cui si fondano e di cui sono fatte.

Così l’essenzialità rurale delle piccole chiese del borgo, come quella della Beata Vergine degli Infermi, si arricchisce di fascino e significati quando la si osserva con gli occhi della fede e della devozione e la sapienza pratica della vita contadina diviene “arte”, come suggerisce il nome del museo ospitato nei locali dell’Ex Mercato Coperto.

Negli ultimi anni l’amministrazione comunale ha investito molto nella promozione del territorio, puntando sul turismo all’aria aperta. In questo contesto, è stata già realizzata un’area di sosta attrezzata per camper, che offre servizi per una sosta confortevole dedicati ai turisti itineranti e agli amanti della natura.

Oltre la quotidianità e la storia, poi, c’è la leggenda. Addirittura l’epica. Ad un paio di chilometri da Francavilla, al sommo di un colle affacciato sul corso del Raganello, si trova, infatti, il Parco Archeologico Timpone Motta-Macchiabate, che, secondo alcuni storici, conserva i resti dell’antica polis di Lagaria, fondata, stando alla tradizione, niente meno che dal mitico eroe Epeo, costruttore del cavallo di Troia. Museo Civico Archeologico, ospitato nel Palazzo De Santis, conserva i reperti scoperti nel corso delle campagne di scavo nell’area archeologica. Nelle sale del museo sono inoltre esposte riproduzioni scientifiche di alcuni dei reperti più emblematici rinvenuti, attualmente custoditi in altri musei. Un’occasione unica per esplorare la storia e l’archeologia del territorio.

Cerchiara di Calabria: non di solo pane…

Terminata la visita a Francavilla seguiamo le indicazioni che ci conducono a Cerchiara, seconda tappa del nostro viaggio. Prima di raggiungere il borgo, percorrendo la SS92, non possiamo esimerci dall’effettuare qualche sosta, per conoscere alcune delle tante attrattive disseminate sul territorio comunale.

Cominciamo dall’antico Palazzo della Piana, imponente struttura che si incontra a breve distanza dalla statale e che, seppur in parziale stato di abbandono, racconta molto della storia e delle tradizioni locali. Il palazzo, risalente al XVI secolo, si è sviluppato attorno ad una più antica torre di guardia, ed è divenuto nei secoli il centro della vita economica e agricola locale, come testimoniano le grosse macine, i mulini, i frantoi e i forni che ancora si trovano nella corte interna. Successivamente i nobili Pignatelli avviarono qui una vera e propria industria per la produzione della liquirizia, attività che fu per anni molto fiorente, tanto che venne addirittura realizzato un apposito binario ferroviario a servizio della fabbrica.

Pochi chilometri più avanti ci attende un’altra sorpresa, che racconta una storia che ci porta ancora più a ritroso nel tempo. Qui, da un antro roccioso che si apre ai piedi dei primi rilievi del Pollino, sgorga infatti una fonte sulfurea nota sin dall’antichità per le sue doti curative e conosciuta come Grotta delle Ninfe. I greci della Sibaritide la ritenevano la casa di Calipso e delle ninfe Lusiadi curatrici di ogni male. Oggi nelle vicinanze della grotta sorge un centro termale gestito direttamente dal Comune di Cerchiara.

La nostra meta è ormai quasi in vista, ma il percorso per raggiungerla non ha ancora esaurito i suoi spettacoli. Il percorso della statale ora si fa ripido e tortuoso e, poco dopo un’ennesima curva, scavalca la stretta gola in fondo alla quale scorre il torrente Caldanello, regalando un affaccio a dir poco vertiginoso.

Ancora qualche tornante e finalmente Cerchiara ci accoglie, perla adagiata sulle pendici del monte Sellaro, con i suoi stretti vicoli di epoca medioevale, i rioni dai nomi antichi, le abitazioni rivestite in pietra viva ricche di logge e scale esterne… e con il profumo inconfondibile del suo celebre pane, specialità riconosciuta con la Denominazione Comunale di Origine (De.Co) e premiato al Salone del Gusto di Slow Food.

A questo squisito “colosso” dell’arte bianca (le pagnotte pesano dai due ai cinque chili) il comune ha dedicato doverosamente un museo, ubicato nel centro storico in quello che fu un antico mulino, nonché una “Gran festa del Pane” che ogni anno richiama moltissimi turisti, curiosi e buongustai.

Poco discosto dal Museo del Pane si trova quello dedicato al Pino Loricato, la specie arboricola simbolo del Parco Nazionale del Pollino. Il territorio è infatti quasi totalmente compreso entro i confini del Parco e ospita alcune delle sue più interessanti meraviglie naturalistiche, che fanno di Cerchiara un piccolo paradiso per gli appassionati dell’outdoor.

Sui pendii del monte Sellaro, si dipana infatti una fitta rete di sentieri, ideali per praticare l’escursionismo e la mountain bike, mentre le tante falesie di roccia calcarea dei dintorni sono una meta molto apprezzata dagli amanti dell’arrampicata. Le gole del Caldanello sono un magnifico spettacolo naturale e nel canyon è stata creata anche una breve via ferrata, riservata ad escursionisti esperti e debitamente attrezzati, che dall’alto di un colle a picco sulle gole scende sino al greto, percorre le gole e risale sino a un’aerea cengia che attraversa diagonalmente la parete rocciosa, sull’altro versante.

Gli antri generati dal suolo carsico, che un tempo erano rifugio di monaci eremiti e briganti, oggi sono terreno di esplorazione degli speleologi che qui trovano alcune delle grotte più profonde d’Italia, come l’Abisso del Bifurto, che scende per 683 metri nelle viscere della terra.

Nel nostro itinerario dedicato all’incontro con la natura e le tracce di fede nell’Alto Ionio non può mancare la visita al Santuario di Santa Maria delle Armi situato a poco più di 7 chilometri dal centro abitato di Cerchiara. Si tratta di uno dei luoghi di culto più antichi e venerati del territorio, meta, il 25 aprile di ogni anno, di un cammino devozionale che dal paese si snoda lungo le pendici del monte Sellaro. Il santuario è facilmente raggiungibile anche in auto, ma il modo migliore per scoprirlo è sicuramente quello di incamminarsi lungo il Sentiero dei fiori di Pentecoste (o della Cessuta), recentemente valorizzato dal GAL della Sibaritide, che ripercorre le tracce della tradizionale processione.

San Lorenzo Bellizzi: natura protagonista

È tempo ora di dirigerci verso il cuore del Pollino, seguendo il tortuoso percorso della SS92 che ci conduce a San Lorenzo Bellizzi, piccolissimo borgo arroccato a 830 metri di quota, al cospetto di straordinari scenari come la Timpa di San Lorenzo e la Timpa della Falconara, mete anch’esse degli appassionati di escursionismo. Prima di dedicarsi all’esplorazione delle bellezze naturalistiche del territorio vale la pena di perdersi fra le strette stradine del paese, con le sue case tradizionali e le tante piccole chiese e cappelle. Ovviamente non può mancare un assaggio dei piatti e dei prodotti tradizionali, come l’apprezzatissimo prosciutto crudo di produzione locale.

La vera meraviglia del territorio è però il contesto naturale, richiamo irresistibile per gli appassionati di escursionismo e dei più diversi sport all’aria aperta.

Note a livello internazionale sono le gole del torrente Raganello, che qui ha scavato nei millenni la roccia calcarea dando origine a uno dei canyon più spettacolari d’Italia.

La Riserva delle Gole del Raganello, istituita nel 1987, sorge su una superficie di 1.600 ettari. Oggi è stata inclusa all’interno del perimetro del Parco Nazionale del Pollino ed è anche una Zona di Protezione Speciale (ZPS), nonché un Sito di Interesse Comunitario (SIC) per via della flora, della fauna e degli ambienti di pregio che custodisce. Il Raganello è lungo all’incirca trentadue chilometri di cui tredici sono costituiti da un profondo e spettacolare canyon con strapiombi che in alcuni punti raggiungono centinaia di metri. Il corso d’acqua, che sorge ai piedi della Serra delle Ciavole, scende inizialmente tranquillo tra i boschi fino a raggiungere la Timpa di San Lorenzo dove inizia l’imponente gola con pareti levigate alte fino a settecento metri, piccole cascate, acque spumeggianti e rocce multicolore. Gli escursionisti e gli amanti del torrentismo e del rafting troveranno nelle gole uno dei più spettacolari percorsi di tutto il meridione.

Plataci: un tuffo nella cultura arbëreshë

Lasciamo San Lorenzo Bellizzi percorrendo a ritroso la SS92, sino al bivio dove, sulla sinistra, si stacca la strada che traversa sotto alle pendici boscose del monte Sparviere per poi scendere con spettacolari vedute lungo la dorsale che porta a Plataci.

Conosciuta come “La città delle fontane”, per via delle sue acque purissime che provengono da fonti che sgorgano a 930 metri di quota, Plataci è soprattutto uno dei borghi delle terre ionicosilane che conservano con maggior orgoglio e ostinazione la cultura arbëreshë.

Lo si capisce fin dall’ingresso al centro abitato, grazie ai cartelli stradali rigorosamente bilingui. Lo si osserva nella stessa struttura urbanistica, che presenta la policentricità tipica degli antichi borghi albanesi, organizzata in rioni, ciascuno raccolto attorno ad uno spazio condiviso centrale. Poi ci sono i murales che adornano le case e rievocano la storia e le tradizioni delle genti approdate in Calabria nel XV secolo, provenienti dalla sponda balcanica dell’Adriatico.

Ma è soprattutto nel culto religioso di rito greco ortodosso che la comunità si riunisce per affermare la propria identità. La bella chiesa quattrocentesca di San Giovanni Battista, che conserva al proprio interno pregevoli opere d’arte, è il fulcro attorno a cui ruotano le feste tradizionali come quella dedicata alla Madonna di Costantinopoli e i riti pasquali della Passione, morte e Risurrezione che vengono celebrati durante tutta la Settimana Santa. Molto antico è il rituale del “rubare l’acqua”: dopo la mezzanotte del Sabato Santo le donne si recano ad una fontana fuori dal paese, rigorosamente in silenzio. Gli uomini intorno a loro cercano di farle parlare, ma solo dopo aver raggiunto la fontana e aver preso l’acqua sarà possibile scambiarsi gli auguri con il Christòs Anesti, Cristo è risorto. Il mattino dopo il sagrestano interpreterà il demonio cercando di impedire al sacerdote di entrare in chiesa; quest’ultimo, dopo aver bussato varie volte, entrerà intonando canti e celebrando la Domenica di Pasqua. Particolarmente suggestiva è poi la festa della Madonna del Monte, che si tiene il 21 di agosto, quando la statua della Vergine viene portata in processione fino a raggiungere la graziosa cappella ubicata nel bosco della Montagnola, a breve distanza dal paese, mentre le donne si cimentano nella tradizionale ndorcat, la danza dei ceri, e i fedeli effettuano offerte in denaro, propiziatorie per i desideri affidati alla benevolenza della Madonna. A ricordo delle origini rimangono vive anche tradizioni più laiche, come il tipico ballo della vallja, dedicato all’eroe condottiero Giorgio Castriota Skanderbeg, una danza popolare dove i giovani, vestiti con i costumi tradizionali, percorrono le vie del borgo eseguendo canti epici o augurali. Molto popolare è anche il Festival dei Piccoli Cantori arbëreshe.

In questi luoghi, da sempre crocevia di popoli differenti, gli arbëreshë hanno saputo conservare la propria originalità, pur integrandosi e partecipando alla cultura e alla storia italiane con contributi fondamentali. Uno dei figli più illustri di queste terre è infatti Antonio Gramsci, nato proprio a Plataci e a cui il comune dedica dal 1997 gli “Itinerari Gramsciani”, una serie di convegni e tavole rotonde incentrati sulle tematiche trattate nelle opere del grande intellettuale.

A chi ama gli la vita all’aria aperta Plataci offre anche una ricca rete di sentieri e aree pic nic nel verde dei boschi che coprono il territorio e l’opportunità di divertirsi fra i percorsi acrobatici di Plataciland, il parco avventura adiacente al centro cittadino.

Infine i buongustai, oltre ad assaporare i tanti piatti tipici della cucina arbëreshe, non devono mancare di portare con sé, come ristoro per le successive tappe del viaggio, una delle saporite trecce di fichi essiccati tipiche del paese.

Villapiana: profumo di mare

Lasciando Plataci lungo la SP159 un poco alla volta i panorami delle aspre montagne del Pollino cedono di nuovo il passo all’ambiente collinare. Il mare si vede all’orizzonte, si sente nell’aria e si percepisce nel clima e nel mutamento della vegetazione. Un chilometro dopo l’altro, scendendo di quota, gli olivi diventano i padroni incontrastati del paesaggio.

Sulle ultime alture prima della piana di Sibari e della costa, fra il corso del torrente Satanasso e del Saraceno, approdiamo all’abitato di Villapiana, dalla storia antichissima. Nasce infatti come colonia della Magna Grecia, conosciuta con il nome di Leutermia, che conserva fino al IX secolo, quando viene distrutta dalle incursioni saracene, per poi rinascere e prosperare sotto la dominazione longobarda e normanna e assumere nei secoli successivi il suo tipico aspetto di borgo medioevale.

Aggirandosi fra le vie del paese si incontrano scorci suggestivi e non mancano monumenti di notevole interesse come la Chiesa di S. Maria del Piano, edificata tra il XIII e XIV secolo, che conserva diverse opere di pregio, tra cui la statua lignea di S. Maria del Piano, un battistero litico trecentesco e due quadri in legno raffiguranti il Sangue di Cristo con Resurrezione e Profeti del XVI secolo.

Il mare e le belle spiagge ioniche ci chiamano. Lasciamo quindi il borgo e seguiamo il tracciato della SP159 in direzione di Villapiana Scalo. Prima, però, con un po’ di intraprendenza e spirito d’avventura, possiamo deviare seguendo una delle stradine secondarie che conducono fino all’immensa distesa di ciottoli e massi calcarei della fiumara del Satanasso. Il mese di giugno è il periodo ideale per compiere questa piccola escursione e ammirare il letto del torrente trasformato in un’unica colata lilla, formata dalla miriade di oleandri inframmezzata dal verde pallido dei pini d’Aleppo.

Giunti sulla costa il nostro itinerario punta in direzione nord lungo la SP253. Ma non dobbiamo avere troppa fretta di proseguire. Questo è il momento di concedersi qualche ora di relax nelle vivaci frazioni di Villapiana Scalo e Villapiana Lido, oppure di gustare il piacere di una passeggiata vista mare lungo l’incantevole percorso pedonale che corre fra la pineta e la spiaggia, dove in estate abbondano le fioriture del giglio marino.

Trebisacce: il Balcone sull’Alto Ionio

Lasciamo Villapiana e le sue frazioni marittime e continuiamo a percorrere la SP253, dopo aver superato e affiancato la Torre del Saraceno, una delle tante postazioni di guardia costruite nei secoli lungo la costa Ionica, approdiamo nel territorio comunale di Trebisacce, che ci accoglie con lo spettacolo offerto da una delle sue produzioni tipiche più conosciute. Subito dopo aver oltrepassato la foce del torrente Saraceno, appaiono alla nostra sinistra i colorati Giardini “i Vigne”, dove si coltiva il pregiato Arancio Biondo Tardivo, una varietà tipica di questo territorio, tutela dal marchio PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale), che regala frutti dal gusto unico e inconfondibile che raggiungono la sua piena maturazione nel mese di aprile.

Questi giardini non sono solo un simbolo della tradizione agricola locale, ma anche un’area ideale per chi ama immergersi nella natura. Aggirarsi fra il labirinto di stradine di “i Vigne” è una vera e propria festa per gli occhi, catturati dal verde smeraldo delle foglie degli agrumeti e dall’arancione dei suoi frutti, colori che si fondono con il blu del cielo e del mare all’orizzonte.

Il Centro Storico di Trebisacce veglia sulla costa dal sommo della sua altura posta proprio a ridosso del mare e protetto dall’imponente Bastione, un vero e proprio balcone affacciato sul Mar Ionio.

Una sosta tra i luoghi del borgo antico lo merita la Chiesa Madre di San Nicola di Mira, gioiello architettonico dell’XI secolo. La cupola e il campanile, in tipico stile bizantino, ricordano l’epoca in cui il culto ortodosso era diffuso in tutta l’area dell’Alto Ionio. L’interno conserva pregevoli opere d’arte come la pala settecentesca raffigurante la SS. Trinità. L’importante restauro del 1994 ha portato alla luce un incantevole Crocifisso ligneo, che sovrasta oggi l’altare maggiore, e una statua cinquecentesca di Sant’Antonio Abate.

Testimonianza del legame di Trebisacce con la sua storia e le sue tradizioni è il Museo dell’Arte Olearia e della Cultura Contadina “Ludovico Noia” che si trova non lontano dalla Chiesa Madre e nel cuore del borgo storico. L’esposizione, allestita nei locali di un antico frantoio, celebra quello che, assieme alle arance, è il prodotto agroalimentare più prezioso del territorio. La cultura dell’olio è infatti anche qui radicata e attorno ad essa e alla coltivazione delle arance ha ruotato l’economia e la vita delle popolazioni locali.

Se si è appassionati di storia e cultura, una visita guidata al Parco Archeologico di Broglio di Trebisacce è un’esperienza da non perdere. Il villaggio protostorico di Broglio, abitato per circa mille anni dal popolo degli Enotri, è ritenuto, infatti, uno dei più antichi d’Italia.

Un’altra sosta imperdibile la meritano il lungomare, le spiagge e il pontile di Trebisacce. Con i suoi quasi cinque chilometri, il lungomare è il luogo perfetto per passeggiate rilassanti e per chi ama correre, andare in bicicletta e mantenersi in forma, grazie anche alle postazioni fitness attrezzate all’aperto. Il pontile è invece una vera e propria passerella sul mare e , grazie al suo ultimo restyling, oggi è diventato la maggiore attrazione del lungomare di Trebisacce.

Pluripremiata con il riconoscimento da diversi anni della Bandiera Blu, Trebisacce è rinomata per le sue acque cristalline e i fondali di sassi levigati. Numerose sono le spiagge ben attrezzate con strutture che offrono tutti i comfort necessari, ma lungo la costa non mancano tratti più selvaggi, dove il paesaggio rimane incontaminato e la tranquillità regna sovrana.

Come per tanti altri paesi delle terre ionicosilane, anche qui il forte sentimento religioso tradizionale si manifesta attraverso diverse celebrazioni ed eventi durante l’anno. Uno dei più sentiti è la Festa di San Rocco che si tiene il 16 agosto, con manifestazioni che si svolgono nell’arco di tutta la giornata, durante la quale la statua del santo viene portata su una piccola barca da pesca tradizionale in legno accompagnata da un carosello di barche che la circonda per tutto il tragitto in mare. Altrettanto partecipata è la Festa di San Leonardo, patrono della città, con la tradizionale processione tra i vicoli e la fiera dei prodotti artigianali del territorio. Altro evento religioso di rilievo è la Processione di San Giuseppe, che si celebra il 19 marzo, durante la quale, è tradizione organizzare una scampagnata verso la collina che ospita la cappella, non lontano dal centro storico.

Oltre a feste religiose e tradizionali, Trebisacce è animata da una varietà di eventi e feste che celebrano la cultura e le tradizioni locali. Durante l’anno, infatti, si susseguono vari eventi come la Festa del Biondo, la Notte Blu, la Notte Bianca e la storica Festa del Mare.

Albidona: un borgo che rinnova tradizioni millenarie

L’itinerario alla scoperta dei segni di fede e della natura nelle terre dell’Alto Ionio ci riporta ora verso le montagne del Pollino. Prima di imboccare la SP153 che risale la panoramica dorsale fra i torrenti Pagliara e Avena, ci soffermiamo ancora lungo la costa, per visitare la torre di guardia di Albidona (fra le meglio conservate della zona) vicino alla quale è ubicata l’omonima biblioteca. Si tratta di un prezioso scrigno di cultura, che conserva settemila volumi dedicati alle più diverse tematiche, dalla narrativa, all’economia, alla politica, nonché una corposa collezione di testi connessi al territorio, con romanzi di scrittori noti e meno noti della Calabria e opere riguardanti la geografia locale, le tradizioni, i dialetti e le minoranze linguistiche.

Seguendo poi il panoramico percorso dell’SP153 ci dirigiamo verso il borgo di Albidona. Prima di raggiungere il paese vale la pena di fare una deviazione lungo la stradina che scende verso la selvaggia e spettacolare valle dell’Avena, per raggiungere la piccola cappella della Madonna del Cafaro. Completamente ristrutturata nel corso cel XIX secolo, la chiesetta risale probabilmente all’anno Mille, edificata ad opra dei monaci basiliani, e conserva la statua in terracotta della leggendaria Madonna Assunta del Cafaro, molto venerata nella zona e oggetto di numerose credenze. Il 15 agosto di ogni anno, la località è affollata dagli abitanti che accorrono per festeggiarla.

Fra i borghi dell’Alto Ionio, Albidona è uno di quelli che possono vantare le origini più antiche. Anche qui le leggende riportano la fondazione agli eroi della Guerra di Troia.

Tracce di questa storia plurimillenaria affiorano proprio nelle manifestazioni della devozione religiosa del paese, che affiancano ai riti cristiani tradizioni di probabile origine pagana. Così è per la duplice festività di San Francesco da Paola e San Michele Arcangelo (il 7 e 8 maggio), quando i giovani di Albidona trasportano lungo le suggestive vie del centro storico, a forza di braccia, le pioche, enormi tronchi di pino d’Aleppo. Il giorno successivo, le donne, in costume tradizionale, trasportano i cinti, contenitori per misure agricole decorati con omaggi floreali o candele, e nel centro del borgo si svolge il tradizionale incanto, un’asta di prodotti tipici, animali o manufatti artistici dedicati al santo. Nella notte vengono infine incendiate le maestose pioche, il tutto accompagnato dalla musica di strumenti popolari e dai sapori autentici dei prodotti locali, come l’apprezzatissimo salame crudo.

Alessandria del Carretto: ritorno ai monti

Dopo la doverosa visita ad Albidona il nostro itinerario riprende, sempre lungo la SP153, in direzione di Alessandria del Carretto.

Il percorso si trasforma presto in un’immersione nella natura più incontaminata. Sembra quasi di fare un viaggio a ritroso nel tempo, in epoche antecedenti la comparsa dell’uomo… ed è quasi con sorpresa che si vedono comparire le case di Alessandria, appollaiate a 1000 metri di quota, ai piedi del monte Sparviere, con le pareti esterne spesso decorate da coloratissimi murales che ritraggono le principali festività del borgo, sia religiose che pagane. Il più spettacolare è sicuramente quello dedicato alla maschera tradizionale, il Polëcënellë Biëll, realizzato su una parete di circa 80 metri quadri.

Siamo di nuovo nel territorio del Parco Nazionale del Pollino e qui la Natura (con la “N” maiuscola!) si mostra in tutta la sua bellezza e potenza. Non è un caso che il nostro primo appuntamento nel borgo sia quello con il Museo del Lupo, dedicato a uno dei simboli per eccellenza della wilderness. A monte del paese si trova invece l’Orto Botanico della Difisella, un’area verde di due ettari attraversata da sentieri che consentono di ammirare alberi monumentali e fare esperienza della biodiversità vegetale del Pollino.

Il fortissimo legame di Alessandria con il contesto paesaggistico in cui è inserita si svela anche in una delle sue tradizioni più radicate: la Festa della Pita. L’ultima domenica di aprile, nel giorno dedicato al patrono Sant’Alessandro, gli abitanti del borgo si danno appuntamento per trasportare a forza di braccia lungo i sentieri un grande abete, che viene poi issato nella piazza di San Vincenzo. Qui il 3 maggio, dopo la messa solenne, la processione e l’incanto, inizia la tanto attesa scalata della Pita: è una festa segata da fragorosi applausi, dall’incalzante musica e dalle incitanti urla, che sostengono i giovani protagonisti impegnati nella scalata, fino all’esultanza finale dedicata all’eroe che raggiunge la cima dell’albero.

La vita sociale di Alessandria è animata anche dalla festa del carnevale che qui è un evento particolarmente atteso e speciale, legato alla tradizione antica delle maschere, di cui gli alessandrini sono particolarmente fieri. Due sono le principali maschere tradizionali: ‘u polëcënellë biellë e ‘u polëcënellë brutte, entrambe caratterizzate da indumenti e accessori tipici e celebrate con grande clamore al passaggio fra le vie del paese. Quello di Alessandria è l’unico carnevale antropologico della Calabria ed uno dei pochi d’Italia. Un evento storico che si svolge ogni anno da più di quattro secoli e che, ad ogni edizione, porta nel piccolo borgo migliaia di persone.

Orgoglio del paese è anche la chiesa madre di Sant Alessandro Papa Martire, un unicum nel patrimonio storico-artistico dell’Alto Ionio Cosentino. Edificata nel 1633 e più volte restaurata la chiesa presenta una semplice facciata in pietra locale e un campanile in muratura con un orologio a numeri romani; l’interno, a tre navate e con soffitto a vela, conserva un dipinto del XVII secolo raffigurante San Giovanni Battista tra Sant’Antonio e Santa Caterina d’Alessandria, preziosi reliquari e un pregevole crocifisso.

Torniamo però alla natura. Non si può dire di aver conosciuto veramente il territorio di Alessandria senza aver effettuato almeno un’escursione fra i suoi boschi immensi e le sue montagne. Tantissimi sono gli itinerari ben segnalati e accuratamente manutenuti. Il nostro consiglio è quello di incamminarsi lungo il Sentiero della Ghiacciaia, valorizzato da un’iniziativa del GAL della Sibaritide, che, dal centro del borgo, conduce come prima tappa al Timpone della Neviera, per proseguire verso la Serra di Lagoforano e raggiungere infine la vetta del monte Sparviere, a 1713 metri di quota.

Ultime due “chicche” assolutamente da vedere, prima di spostarsi verso l’ultima meta del nostro viaggio fra le tracce di fede i paradisi di natura, sono il Museo della cardiochirurgia, dedicato all’eminente figura di Guido Chidichimo, originario proprio di Alessandria e il Museo delle Maschere Antropologiche Italiane, sito anch’esso nella struttura del Palazzo Chidichimo nel centro storico del borgo.

Castroregio: il sapore della tradizione

Lasciata Alessandria il percorso prosegue ancora al cospetto delle spettacolari montagne del Pollino. Seguendo la SP153 ci dirigiamo infatti verso il piccolo e delizioso borgo di Farneta, frazione del comune di Castroregio. Farneta è una comunità di un centinaio di abitanti aventi origine arbëreshë che mantiene intatti i costumi e la lingua albanese, tramandati di generazione in generazione. Le tradizioni popolari sono concentrate soprattutto intorno alla musica e ai riti popolari, di cui si può trovare testimonianza in particolare nella festa di San Donato, a cui è dedicata la chiesetta del paese. Terminata la visita percorriamo a ritroso la SP153, fino a raggiungere l’incrocio con la SP154 che imbocchiamo finalmente in direzione di Castroregio.

Prima di raggiungere il paese, arroccato sulla cima di un colle come un vero e proprio nido d’aquila, attraversiamo lo spettacolare Bosco Foresta, uno dei boschi monumentali più belli e meglio conservati dell’Italia meridionale. Qui si può passeggiare a piacimento, perdendosi nella contemplazione dell’oceano verde, dove spiccano maestosi esemplari di cerri e castagni secolari. Il punto di sosta ideale è la cappella della Madonna della Neve. La natura circostante è di una bellezza unica, caratterizzata da grossi massi sparsi fra l’erba, che sembrano piovuti dal cielo. Il bosco tutto attorno è attrezzato con aree pic-nic e campetti da tennis ed è ricco di vegetazione, cerri, roveri ed elci, con il suggestivo laghetto che si forma per le piogge invernali. L’antica cappella è caratterizzata da una bellissima facciata in pietra locale con timpano in mattoncini rossi. La chiesa custodisce le preziose statue della Madonna della Neve con il Bambino e della Madonna del Rosario.

Dopo quest’ultima sosta eccoci finalmente a Castroregio, meta finale del nostro itinerario. Il borgo, anch’esso di origini albanesi, conserva la caratteristica delle costruzioni in pietra e dei vicoletti percorribili solamente a piedi.

Con un po’ di fortuna potrete capitare qui in uno di quei momenti speciali in cui la comunità si riunisce per rievocare orgogliosamente le sue antiche tradizioni. I matrimoni di rito bizantino sono sicuramente una di queste occasioni. Celebrati tra cori e canti di sapore orientale e caratterizzato dagli sgargianti colori degli abiti nuziali femminili gli sposalizi a Castroregio sono, ancora oggi, un importante fattore di aggregazione per le minoranze etniche arbëreshë. Mentre le donne sono in casa della sposa e l’aiutano a vestirsi, alcuni colpi di fucile annunciano l’arrivo dello sposo. Il padre della sposa, si rivolge al futuro genero e con un fazzoletto in mano gli chiede: “Ti skamandilin do o nusen?” (Vuoi il fazzoletto o la sposa?). Lui risponde: “U dua nusen” (Voglio la sposa). Dopo aver ricevuto la benedizione da parte di genitori ed amici i due sposi accompagnati dalla comunità si recano in chiesa. La cerimonia si compone di due riti distinti, quello degli anelli e quello dell’incoronazione; i due bevono il vino dallo stesso bicchiere che, immediatamente dopo, viene frantumato e, infine, insieme ai testimoni fanno un triplice giro intorno al tavolo dove è posto il Vangelo.

Tutti i punti di interesse

Francavilla Marittima: la bellezza della semplicità

Museo dell’Arte Contadina

Si possono rivivere le antiche tradizioni locali, le abitudini e i rapporti personali, incarnati negli strumenti della quotidianità di un tempo. Si parte dalla casa del contadino, con l’esposizione di una semplice cucina e di una stanza da letto. L’arredamento è povero, lo stretto necessario: un tavolo, sedie impagliate, una credenza con pochi oggetti al suo interno e un semplice letto realizzato con assi di legno. Si passa poi agli attrezzi della fabbricazione artigianale: gli arnesi del calzolaio, del fabbro, del pastore, nonché gli utensili agricoli, principalmente in legno ma con alcune eccezioni in metallo. Al termine del percorso la sezione conclusiva è dedicata alle moderne creazioni degli artisti contemporanei. Il Museo dell’Arte contadina s’insedia nell’ex Mercato Coperto di proprietà comunale.

Info e contatti:

Comune di Francavilla Marittima – www.comune.francavillamarittima.cs.it

Parco Archeologico Timpone Motta-Macchiabate

Sul Timpone della Motta, nel comune di Francavilla Marittima, si trova uno dei siti archeologici più significativi dell’Alto Ionio Cosentino. Qui i greci costruirono un santuario dedicato alla dea Athena, e aveva probabilmente sede l’antica Lagaria, una delle venticinque polis dello stato sibaritico. Un centro importante, come testimonia la Necropoli di Macchiabate, scoperta e riportata alla luce dagli anni ‘60 del Novecento, con le sue duecento tombe complete di corredo funerario, vasellame di ceramica e oggetti in metallo, generalmente bronzo. Da quanto si ipotizza, la necropoli ha avuto una vita di tre secoli, dall’inizio dell’VIII a.C. fino alla fine del VI a.C. Attualmente, presso il Parco archeologico, è possibile visitare la riproduzione del Cavallo di Troia, una macchina da guerra leggendaria, utilizzata per espugnare la mitica città di Troia. Questa riproduzione è una struttura suggestiva e unica nel suo genere, che offre ai visitatori la possibilità di immergersi in un episodio iconico della mitologia greca.

Info e contatti:
Comune di Francavilla Marittima – www.comune.francavillamarittima.cs.it

Cerchiara di Calabria: non di solo pane…

Museo del Pane

Cerchiara è la Città del Pane, in costante lotta contro il tempo e la modernità che incalza, per non permettere al futuro di ingoiare le cose più belle e genuine del passato. Per questo motivo il Comune ha creato il Museo del Pane e della Civiltà Contadina in un antico mulino risalente al 1800, in pieno centro storico di epoca medioevale. All’interno del Museo si possono trovare rappresentazioni con attrezzi d’epoca, antiche macine, fotografie e figure a grandezza naturale di quella che era la vita contadina ed il lavoro al panificio dal momento in cui il grano veniva trebbiato e portato al mulino fino alla sua trasformazione in pane. Ci sono bellissimi dipinti ad acrilico di due metri per tre che fanno rivivere sulle pareti le scene rurali del passato. Inoltre, grazie alla sala proiezioni, si possono vedere documentari che portano il turista letteralmente all’interno della vita nel panificio, fin quasi ad avere l’impressione di vedersi le scarpe sporche di farina. In esposizione ci sono diverse forme di pane che raccontano le varianti della produzione, mettendo in risalto la tipica pagnotta di Cerchiara. Una volta usciti dal museo l’unica cosa che si può e deve fare è infilarsi in un forno ed assaggiare.

Info e contatti:

www.beniculturali.it/luogo/museo-del-pane-di-cerchiara-di-calabria

Santuario di Santa Maria delle Armi

Luogo di preghiera e meditazione, da secoli meta di santi e pellegrinaggi, il maestoso complesso inserito nella roccia del monte Sellaro lascia davvero senza parole per la sua magnificenza e per l’incantevole scenario nel quale è incastonato.

Qui San Pancomio eresse nel X secolo il monastero di Sant’Andrea, raccogliendo attorno a sé gli eremiti che formavano l’ascentario “Tòn Armòn” (dal greco “Twn armwn” ossia delle grotte) e istituì il culto della Madonna Tòn Armòn, in seguito per assonanza tradotto in Madonna delle Armi. Con l’arrivo dei Normanni, la politica religiosa nettamente contraria al monachesimo greco determinò la decadenza dell’insediamento originario, che però non venne mai del tutto abbandonato. Nel corso dei secoli successivi venne restaurato e ampliato, soprattutto dai principi Sanseverino di Bisignano e dai Pignatelli di Cerchiara, sino ad arrivare alla struttura attuale. Giunti all’ingresso, dopo aver oltrepassato il Palazzo del Duca, l’Ospizio dei Pellegrini e gli edifici in passato adibiti all’ospitalità delle orfanelle e del personale, si sfocia in un piccolo porticato a quattro arcate romaniche, splendido balcone panoramico sulla sottostante piana di Sibari. Varcando un ricco portale in pietra bianca locale, si accede all’interno della chiesa, scavata per alcuni metri nella roccia viva; in stile bizantino, con pianta irregolare a croce latina, che conserva notevoli opere seicentesche ed affreschi del ’700 di scuola napoletana. La volta naturale è affrescata con la “Gloria della Vergine con Trinità e Santi” e il “Giudizio Universale” di Joseph De Rosa di Castrovillari (1715). Al lato destro dell’altare maggiore, scopriamo la famosa grotta che custodisce la miracolosa immagine della Madonna achiropita (non dipinta da mano umana), conservata dal 1750 in una teca d’argento in stile barocco.

Info e contatti:

Comune di Cerchiara – www.comune.cerchiara.cs.it

Sentiero dei Fiori di Pentecoste (o della Cessuta)

Si tratta di un sentiero in quota, che si sviluppa tra le peonie e corre all’ombra di grandi querce e cerri. Sicuramente possiamo definirlo come “il sentiero tra le peonie peregrine”. Infatti, nella prima metà di maggio, il bosco si colora prima di un verde intenso e poi, con lo sbocciare del fiore, di un rosso porpora che macchia l’intero versante. Troviamo qui varie tipologie di querce (cerri, lecci, farnie, roverelle, agrifogli) frammiste a diversi tipi di pino, soprattutto nella parte alta. L’ambiente di mezzacosta e di versante mostra come il tracciato sia riparato dai grandi freddi di ponente grazie a massicci blocchi di roccia in frana scaraventati da immani forze a mo’ di dadi su una grande superficie. Basta uscire su un punto panoramico per rendersi conto del fronte di frana che caratterizza in questo punto il Monte Sellaro. In alto ci sono le grandi praterie a inframezzate da foschi di pino nero; esse descrivono sempre un paesaggio forestale di notevole interesse ecologico e naturalistico. In questo ambiente non è difficile incontrare cinghiali e, nelle fredde giornate invernali, più volte si sono visti lupi in caccia. Dalla cima del Monte Sellaro lo sguardo si perde tra le pieghe dei grandi spazi del Pollino meridionale e il Golfo di Sibari. Fanno da controaltare i grandi boschi a faggio della Fagosa, i crinali delle Serre a Pino Loricato, le timpe e gli spartiacque tra la valle del Raganello ed il Coscile. Chiude l’orizzonte occidentale la grande linea di monti della catena costiera calabrese. Infine, la Piana di Sibari, uno dei più grandi polmoni agricoli della Calabria, soprattutto in primavera mostra colori in contrasto tra di loro: il verde delle risaie intervallato dal bianco delle serre, le estese superfici ad aranceti e gli uliveti completano il cromatismo della Piana. (Segnaletica: segnavia num 949; Tempo di percorrenza: 2.30 ore solo andata sino al Santuario. 1 ora Monte Sellaro andata e ritorno; Difficoltà: E – Escursionistico) / EE -Escursionistico per esperti nel tratto che porta in cima al Monte Sellaro).

Info e contatti:

www.caicastrovillari.it

Plataci: un tuffo nella cultura arbëreshe

Un tipico borgo Arbëreshe

Borghi come Plataci hanno visto la propria conformazione urbanistica evolversi secondo i canoni arbëreshe. La caratteristica principale della struttura urbana arbëreshe è sicuramente la policentricità. A fronte di una piazza comune, chiamata shesh o rahj, vero e proprio centro del borgo, i nuclei della cittadina sono le gjitonie e il rione che le contiene. Tutte le porte delle case, chiamate shpit o shtupit, sono rivolte verso lo spiazzo della gjitonia, un nucleo centrale condiviso dalle famiglie. Si tratta di una struttura antica, che permetteva di creare una “rete” di reciproca assistenza e condivisione, tanto comune anche nelle cittadine italiane medievali, in una sorta di “famiglia allargata” dove anche l’educazione dei bambini era condivisa.

Il ballatoio, o sheshi, era il cuscinetto per proteggere la riservatezza delle famiglie, un vero e proprio confine tra pubblico e privato. Ogni rione comprendeva poi la propria chiesa, il proprio negozio di alimentari, il forno e la cantina.

Il Festival dei Piccoli Cantori Arbëreshe

Nato nel 2005, il “Festival dei Piccoli Cantori arbëreshe” è un’idea dello Sportello Linguistico del Comune di Plataci sostenuta dall’amministrazione comunale. La cultura arbëreshe è un patrimonio che affonda le sue radici nella storia, un patrimonio tramandato oralmente e in particolare attraverso il canto, che continua ad esser centrale in tutte le celebrazioni della comunità e che si mantiene vivo e in movimento grazie anche alla partecipazione dei bambini a questo festival. Provenienti da Plataci ma anche da Frascineto, Dulcigno in Montenegro, Spezzano Albanese, Scutari in Albania e Santa Sofia d’Epiro, i piccoli cantori interpretano pezzi in lingua arbëreshe non molto dissimili da quelle classiche di tutti i bambini. Troviamo canzoni dedicate alla scuola e alla crescita, che parlano di sogni e di caramelle, ma anche, e questa è la loro forza specifica, della propria esperienza legata alla società arbëreshe. Si hanno così titoli come “Per una amico platacese che ritorna”, “Noi italo-albanesi” o ancora “La ragazza arbëreshe”: gli arbëreshe d’Italia e di fuori, partecipando al Festival dei Piccoli Cantori, possono confrontarsi fra di loro e creare una rete sempre più estesa fra tutti gli eredi di Skanderbeg. L’impegno e la professionalità di questi bambini sono davvero eccezionali, e vengono supportati dalle maestre e dalle famiglie che li spingono ad esprimersi per emozionare profondamente gli ascoltatori, che difficilmente dimenticheranno le parole antiche che i piccoli cantano per loro.

Trebisacce: il bastione dell’Alto Jonio

I Giardini del Biondo Tardivo

I Giardini, ovvero “i vigne” rappresentano il polmone verde di Trebisacce con una distesa di circa 100 ettari situati nella parte più meridionale del paese, un luogo dove la natura si svela in tutta la sua bellezza e generosità. Ancora oggi “i vignaruli”, come da tradizione al mattino presto, quando il sole inizia a specchiarsi nelle acque cristalline del mare, si avviano al loro quotidiano lavoro di dedizione e cura dei pregiati frutti. Originariamente le grandi distese erano coltivate a vigneto (da cui deriva la sua denominazione “i vigni”), è soltanto a partire dal 1880 che le distese di vigneti sono state sostituite dagli agrumeti. Da quell’anno in poi inizia la produzione locale di una particolare varietà d’arancio, importata dal Portogallo, caratterizzata da una maturazione tardiva rispetto alle altre varietà conosciute in Italia: il “Biondo Tardivo”. La particolare posizione e conformazione del territorio dell’Alto Ionio, grazie all’azione mitigatrice del mare e ai rilievi del Pollino, impediscono ai venti freddi settentrionali di soffiare sugli agrumeti, rendendo l’inverno meno rigido e consentendo alle arance di svilupparsi durante i mesi invernali per essere raccolte ad aprile. Il biondo tardivo si fregia del marchio PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) ed è fra le eccellenze italiane.

Il bastione di Trebisacce

È una fortificazione dalle alte mura eretta a difesa del paese dalle invasioni di Turchi e Saraceni, protagonista della storica battaglia combattuta nel 1576 contro i Turchi. La mattina del 21 luglio, le galee turche giunsero a Trebisacce per l’assedio alla città, ma i Trebisaccesi, valorosi e fieri, resistettero, e  con sassaiole,  colate di olio bollente e mezzi poveri riuscirono a domare il nemico. Il 22 luglio giunsero in loro soccorso le truppe a cavallo del principe Berignano, che aveva a quel tempo la giurisdizione territoriale, insieme agli aiuti inviati da Cassano e Morano. I Turchi vennero respinti e subirono gravi perdite, anche se, grazie all’uso delle alte scale, alcuni riuscirono ad espugnare il bastione e a penetrare nel borgo, rapendo donne e bambini da rivendere come schiavi al mercato di Tripoli.

Parco archeologico Broglio

L’area del Broglio è una zona di rinvenimenti archeologici che hanno portato alla luce una realtà abitativa che va dall’età del Bronzo al VIII secolo a.C. Dal pianoro si ammira un paesaggio sensazionale che spazia dal golfo di Corigliano alla Piana di Sibari, dai monti della Sila al massiccio del Pollino. L’insediamento è una delle rare testimonianze della civiltà degli Enotri, popolo che abitava queste sponde del Mediterraneo prima dell’arrivo dei greci. Qui essi costruirono capanne a pianta rettangolare e magazzini nei quali venivano conservati recipienti in ceramica (doli) per derrate agricole e olio. A testimoniarlo sono i rinvenimenti archeologici che hanno riportato alla luce vasi in ceramica, ciotole, tazze, asce e armi da caccia. Lo stanziamento a Broglio durò ininterrottamente fino alla conclusione dell’età del primo ferro (720 a.C.) che coincise con la fondazione di Sibari.

Info e contatti:

parcoarcheologicodibroglio.it

Alessandria del Carretto: ritorno ai monti

Museo del Lupo

L’idea dell’istituzione del Museo Naturalistico del Lupo nasce a seguito del tragico episodio del 14 agosto 1995, quando un branco di lupi venne massacrato dagli allevatori che portavano i loro bovini all’alpeggio sul monte Sparviere. Il parco Nazionale del Pollino, in collaborazione con l’amministrazione di Alessandria del Carretto, ha pertanto dato vita al Museo, ubicato nei locali delle ex scuola elementari, per sensibilizzare la popolazione raccontando le abitudini, la storia del lupo e del suo rapporto con l’uomo. La struttura ospita anche seminari, convegni ed eventi sul tema.

Info e contatti:

Comune di Alessandria del Carretto – www.comune.alessandriadelcarretto.cs.it

Sentiero della Ghiacciaia

Dalla piazzetta principale di Alessandria si percorre il corso seguendo le indicazioni per l’ostello per poi proseguire lungo la stradina sterrata che inizia poco metri oltre la struttura e avanza in salita verso le campagne di Alessandria. Il percorso prosegue lungo il crinale che divide i due spartiacque dei Canali che poi si congiungono e danno vita al Torrente Saraceno. Si continua la salita ammirando splendidi panorami e in breve si raggiunge la Croce Montillo, da dove, proseguendo verso sinistra, si arriva al Timpone del Ladro. Si avanza ancora fino al bivio con la Spinazzeta, mantenendo poi la strada principale fino all’incrocio con la stradina che porta all’acqua di Brume. A questo punto si lascia la sterrata e si incomincia il sentiero che porta in direzione dei grandi abeti bianchi posti sul crinale che conduce sino alla Neviera e poi alla cima del Timpone, da dove lo sguardo spazia senza limiti: verso nord oltre alle vette del Pollino, si vede il Massiccio del Sirino, l’Alpi di Latronico e poi tutta la catena dell’Appennino lucano. A meridione il panorama non è da meno: oltre a tutte le quinte dei monti calabro-lucani c’è il mare. Pochi luoghi possono vantare questo connubio.

Scendendo lungo il crinale occidentale del Timpone si giunge di nuovo sulla stradina sterrata che porta verso a Serra di Lagoforano e al Piano Cistone. Imboccando una stradina verso ovest, in leggera salita e si arriva alla Tacca Peppini. Da qui si prosegue in lieve discesa per poco più di un chilometro e si arriva ai pianori dove in primavera si forma un piccolo laghetto di origine glaciale.

Da lì, seguendo i segnavia bianco-rossi, in poco più di un’ora di cammino si è in vetta al Monte Sparviere ottimo balcone panoramico su tutta la Pianura di Sibari e il suo golfo. Invece, volgendo lo sguardo verso l’interno, le numerose “timpe” sembrano un ammasso roccioso che affonda nella Valle del Raganello per poi dare origine ad uno dei canyon più importanti d’Europa. (Segnaletica: segnavia num. 947; Tempo di percorrenza: 4.55 ore andata – 3.50 ore ritorno; Difficoltà: E – Escursionistico).

Info e contatti:

www.caicastrovillari.it

Museo della cardiochirurgia

Nel museo sono raccolti i lasciti dello scienziato Guido Chidichimo (1912 – 1998) al suo paese d’origine. Nato proprio ad Alessandria del Carretto, il dottor Chidichimo ebbe una folgorante carriera medica e alla sua morte lasciò l’intero contenuto del suo studio romano all’amministrazione comunale alessandrina, che acquisì allo scopo una degna sede. In essa si possono osservare i molti strumenti medici d’epoca, una nutrita collezione di statue e opere d’arte, e un impressionante mappamondo antico con notazione delle costellazioni; l’adiacente Biblioteca di Cardiochirurgia conserva un inestimabile patrimonio culturale e scientifico, che attraverso testimonianze dirette, libri, filmati e diapositive, illustra l’evoluzione di circa un secolo di scienza medica.

Info e contatti:

Comune di Alessandria del Carretto – www.comune.alessandriadelcarretto.cs.it

Museo delle Maschere Antropologiche Italiane

Il museo nasce per ospitare storia, storie, folklore e testimonianze dei più importanti e antichi carnevali tradizionali d’Italia, forte di un’attenzione particolare rivolta proprio al carnevale alessandrino e alle sue maschere caratteristiche. La struttura è ospitata presso Palazzo Chidichimo dove, in una sala multimediale, sono esposte le principali maschere dei Carnevali antropologici italiani.

Info e contatti:

www.museoalessandrinodellemaschere.it

Gli altri itinerari

Fra la Sila Greca e la piana di Sibari

Nelle terre dei Brettii

Sulle orme di Federico II